UNA PAROLA PER TE

 COMMENTO ALLA PAROLA DELLA LITURGIA DOMENICALE   

A cura di don Luciano Andriolo, Prevosto della Comunità Pastorale Sant'Agostino - Sesto Calende

V Domenica di Pasqua                                                                                                                                               Atti 7 / Salmo 117 / 1 Corinti 2,6-12 / Giovanni 17,1b-11

 Carissimi, buona domenica!

La pagina odierna del Vangelo propone alla nostra meditazione la prima parte di quella che viene chiamata “la preghiera sacerdotale” di Gesù, che occupa tutto il cap. 17 di Giovanni. Una lunga, intensa, coinvolgente preghiera, che trova il suo contesto nell’ultima cena, dopo i “gesti dell’amore” posti da Gesù e dei quali abbiamo fatto memoria nella Pasqua da poco celebrata.

In modo magistrale e sorprendente l’evangelista Giovanni osa “dare voce” alla preghiera intima di Gesù, dando ad essa un contenuto ed un linguaggio che ci commuovono. Intuiamo che non si tratta di un artificio letterario di fantasia ma di una immedesimazione profonda nel cuore di Gesù, nei suoi sentimenti, nella sua relazione personale con il Padre. Cosa c’era nel cuore di Gesù in quella sera memorabile? Da cosa scaturiva la sua preghiera? Per chi, per che cosa, Gesù ha pregato?

Con discrezione, ci limitiamo ad evidenziare alcune chiavi di lettura.

La preghiera di Gesù inizia con una parola semplice; con l’invocazione di un nome, che sempre caratterizza e connota il suo entrare in preghiera: “Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre…”. Il segreto di Gesù, di tutta la sua vita, della sua fedeltà, del suo coraggio, tanto più in quella vigilia della sua passione, sta proprio in questo abbandono fiducioso a questo nome: “Abbà, Padre”. Gesù non è l’eroe pronto a sfidare tutto e tutti, fino all’atto supremo della morte. Gesù è semplicemente e anzitutto il figlio, che non smette mai di credere che Dio gli è Padre, del quale si fida e al quale si affida.

Vivere la Pasqua, come ci siamo più volte richiamati in queste domeniche, significa entrare in questo atteggiamento coraggioso della fede, che sa “alzare gli occhi al cielo” e confidare nella tenerezza e nella misericordia del Padre verso  tutti i  suoi figli.

La preghiera di Gesù, poi, ha orizzonti grandi. Come a cerchi concentrici essa abbraccia i suoi amici, per dilatarsi e raggiungere i discepoli di tutti i tempi, la Chiesa e l’umanità intera, che non conosce limiti di tempi e di luoghi, per arrivare fino a noi, a me, qui dove adesso mi trovo, in quello che sto vivendo.

Quanto ci consola e ci dà coraggio questa certezza: che la nostra preghiera, spesso povera, debole, incostante, in realtà è sostenuta e raccolta “dentro” la grande preghiera di Gesù. Il mio pregare non è mai solo il mio pregare ma è sempre un pregare “con” Gesù e “in” Gesù il Padre. Questa è la novità e la bellezza della preghiera cristiana.

Vivere la Pasqua significa entrare nel cuore di Gesù, dimorare ogni giorno nei  suoi sentimenti di figlio; fondare la nostra speranza non sulle nostre forze, ma sulla certezza che la grazia della sua preghiera ci raggiunge e ci accompagna sempre.            

 

Don Luciano

 

IV Domenica di Pasqua  /  Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni                                                         At 20,7-12 / Sal 29 / 1Tim 4,12-16 / Gv 10,27-30

 Carissimi,

a fare da sfondo alla Parola di Dio di questa IV Domenica di Pasqua è la Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni.

Sappiamo essere questo un tema estremamente delicato, che tocca la vita e il futuro non solo delle nostre comunità cristiane, ma dell’intera società. Riguarda infatti l’affermarsi di una cultura e di uno stile di vita che sembrano non favorire più la formazione di libertà capaci di scelte definitive e totalizzanti, sia matrimoniali che religiose.

Le ragioni del fenomeno sono molteplici, non ultime quelle legate alle condizioni di incertezza e di precarietà dei giovani circa il loro futuro. Dal punto di vista cristiano, invece, il venir meno di una “coscienza vocazionale” della vita. Che cioè la vita è un dono, una opportunità straordinaria per realizzare qualcosa di bello e di unico, nella piena espressione di sé; a partire da quei doni di attitudini, di propensioni, con i quali Dio Padre ha connotato l’esistenza di ciascuno dei suoi figli che vengono al mondo.

Ma, forse, una delle ragioni più profonde che blocca o frena oggi il coraggio di scelte di vita coraggiose e definitive è la paura, nelle sue varie sfaccettature. La paura che tutto possa rivelarsi una illusione; la paura di non farcela; la paura di non valere; la paura del giudizio degli altri; la paura di soffrire. Non ultima la paura della morte, come la fine di tutto, che annulla tutto. Paure più o meno inconsce, ma per nulla innocue, che logorano la mente, il cuore, lo slancio.

Nel breve brano tratto dal capitolo 10 di Giovanni, nel suo lungo discorso sul “buon pastore”, Gesù indica ai discepoli “l’antidoto” capace di neutralizzare le loro paure. Si tratta di una “promessa”, di una parola “rassicurante”, che ha la pretesa di essere un “vangelo”, una “buona notizia”, più forte di ogni paura.

Attraverso l’immagine (allora molto quotidiana) del “buon pastore” (tradotto letteralmente, del “pastore bello”) Gesù “garantisce” ai suoi amici che ci sono “mani” sicure e amorose alle quali è possibile affidare la propria vita; “mani”  dalle quali niente e nessuno potrà “mai strapparci”.

Sono le mani del Padre. Sono le sue stesse mani che portano i segni di un amore senza misura. Mani capaci di accompagnare, di sostenere, di prendere sulle spalle, di medicare, di condurre ad un porto sicuro, ad un destino di “vita eterna”.

Fare “esperienza della Pasqua” significa proprio questo: permettere a queste mani di prendere in mano la nostra vita. Questo è il senso, la bellezza e la forza di ogni vocazione.

                                                            Don Luciano

III Domenica di Pasqua                                                                                                                                               At 16,22-34 / Sal 97 / Col 1,24-29 / Gv 14,1-11

Carissimi,

nelle scorse domeniche mi sono soffermato a riflettere con voi su cosa significa vivere la Pasqua.

Abbiamo già considerato che ci possono essere modi diverse di vivere la Pasqua. Ma non tutti sono veri, autentici; cioè “efficaci”, capaci di lasciare un segno, di cambiare qualcosa nella nostra vita.

Un primo modo è semplicemente quello di “festeggiare” la Pasqua. Un secondo, già più significativo, è quello di “celebrare” la Pasqua. Ma i brani di Vangelo di queste prime due settimane del Tempo Pasquale ci hanno mostrato che la modalità più “efficace”, quella che Gesù stesso mette in atto con i suoi discepoli, è quella di “fare esperienza” della Pasqua.

Il brano degli Atti degli Apostoli di questa domenica, che vede come protagonisti non solo Paolo e Sila (in prigione a motivo della loro testimonianza del Risorto) ma il carceriere con l’intera sua famiglia, ci suggerisce di porre una domanda più puntuale: cosa significa “fare esperienza” della Pasqua come famiglia?

In tante delle nostre famiglie cristiane ci si è limitati a “festeggiare” la Pasqua. In altre si è scelto anche di “celebrare” la Pasqua, con la partecipazione alla S. Messa insieme alla comunità. Ma cosa può significare “fare esperienza” della Pasqua nelle nostre case; “fare esperienza” della presenza viva del Risorto?

La testimonianza di questo padre di famiglia (in preda ad un momento di panico per quello che è successo nella prigione) diventa davvero significativa.

Fare esperienza della Pasqua significa (soprattutto in certi momenti cruciali della vita) avere il coraggio di anteporre alle tante domande del quotidiano, quella che è la più decisiva e seria: “cosa devo fare per essere salvato?”. Cioè: “cosa devo fare perché la mia vita, quella della mia famiglia abbia un senso e una speranza?”. Senza questa domanda la fede resta una abitudine, una tradizione, un’astrazione.

Se si trova il coraggio di porre questa domanda, allora si è pronti a ricevere una risposta che non sia “formale” ma “esistenziale”; quella che Paolo dà a questo padre: “Credi nel Signore e sarai salvo tu e la tua famiglia!”.

Se ci si apre a questo annuncio “come famiglia”, allora prende senso la richiesta dei Sacramenti per sé e per i propri figli: “Subito fu battezzato, lui con tutti i suoi”.

Se si lascia spazio alla buona notizia che davvero Gesù, e solo Gesù, è “la via, la verità e la vita”, allora “come famiglia” ci si apre alla gioia di far parte di una comunità di fratelli, che è la Chiesa: “… poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola, e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio”.

Che sia davvero questa “l’esperienza della Pasqua” per tutte le nostre famiglie che si preparano al dono della Prima Comunione con il Risorto dei loro figli.                                                                                                                                                                                      Don Luciano 

II Domenica di Pasqua “della Divina Misericordia”                                                                                                  At 4,8-24a / Sal 117 / Col 2,8,15 / Gv 20,19-31

Carissimi, buona Pasqua ancora a tutti!

Sono tanti i modi con cui è possibile vivere la Pasqua! Ma non tutti i modi sono “veri”; e, quindi,  “efficaci”; cambiano cioè qualcosa!

C’è anzitutto quello del “festeggiare” la Pasqua. Questo lo abbiamo fatto tutti in questi giorni; per lo meno nel nostro mondo occidentale. Ma, cosa resta? E’ la Pasqua che dura quanto il tempo di una festa; poi tutto torna come prima. Di una Pasqua così non resta nulla!

Un altro modo è quello del “celebrare” la Pasqua. Di questa modalità ci sentiamo più partecipi. Tutti noi, in qualche modo, siamo riusciti a partecipare a qualche “celebrazione” pasquale. Momenti sempre intensi, anche perché particolarmente preparati nelle nostre chiese. Ma forse anche di questa modalità potremmo chiederci: cosa resta, cosa è rimasto? Forse un po’ di coinvolgimento interiore, emotivo. Ma cosa, di fatto, ha cambiato dentro di noi?

Le pagine evangeliche dei racconti delle apparizioni del Risorto che la Liturgia ci propone in queste domeniche ci indica che c’è un altro modo in cui è possibile vivere la Pasqua, che è quello del “fare esperienza” della Pasqua. Fino a quando non si fa “esperienza” della Pasqua di Gesù, la Pasqua lascia il tempo che trova, non riesce a scalfire la vita, darle un orizzonte e un significato nuovo.

A mostrare che cosa significa “fare esperienza” della Pasqua è il Risorto stesso. Nelle sue apparizioni Gesù “fa sperimentare” la Pasqua. La fa sperimentare a Maria di Magdala chiamandola per nome nel momento della sua disperazione, facendola sentire al centro della sua cura amorevole, consegnandole una dignità e una fiducia che supera ogni sua attesa. La fa sperimentare ai discepoli, andando a cercarli, quasi ad uno ad uno, sui sentieri della loro fuga, delle loro paure, riconsegnando loro la certezza che non ha cambiato idea sulla loro “idoneità” ad essere suoi “amici”. In particolare la fa sperimentare a Tommaso. Rispondendo alla sua richiesta di poter mettere il dito nelle piaghe delle sue ferite, Gesù gli dà la possibilità di fare esperienza della potenza della Pasqua. Di riconoscere, cioè, che là dove ci sono ferite vissute per amore, a motivo dell’amore, lì è possibile anche fare esperienza di una energia di vita che sorprende. Là dove il male, la cattiveria, la morte hanno la pretesa di annullare la vita, si aprono certo delle ferite dolorose, a volte mortali. Ma a Tommaso è dato di sperimentare che ci sono ferite che testimoniano che l’amore è più forte; che il bene alla fine vince; che la verità prima o poi risplende.  Fare esperienza della Pasqua significa questo! Ed è per questo che a Maria di Magdala, ai discepoli, a Tommaso diventa impossibile tacere una esperienza come questa.

Se dopo aver festeggiato la Pasqua, dopo averla anche celebrata, sulla Pasqua cala il silenzio; e tutto rientra nell’alveo di una vita spenta e mediocre, significa che ancora dobbiamo invocarne la grazia di una vera esperienza.

                               Don Luciano         

Domenica di Pasqua                                                                                                                                                       At 1,1-8a / Sal 117 / 1Cor 15,3-10a / Gv 20,11-18

 Carissimi,

Il dono della Pasqua non è mai un dono che si ripete! Nessun dono, quando è vero, si ripete. A renderlo nuovo sono le intenzioni di chi lo offre. A renderlo nuovo sono le condizioni di chi lo riceve.

A rendere nuova questa Pasqua sono anzitutto le intenzioni di Gesù. Quelle che Lui stesso ha rivelato ai suoi discepoli, nell’intimità del Cenacolo, la sera della consegna totale di sé nelle parole e nei gesti dell’ultima cena. Intenzioni di dono, di offerta di sé, che restano per sempre, posti una volta per tutte. Proprio per questo, immutabili, fedeli, eterne. Parole e gesti colmi di “umanità” perché scelti e vissuti per amore. Parole e gesti in grado di “restituire umanità” ad umanità smarrite, fragili, povere.

A rendere nuova questa Pasqua sono le condizioni in cui oggi noi la celebriamo. Per alcuni aspetti sono le condizioni umane di sempre, come quelle degli uomini e delle donne contemporanei a Gesù. Per altri aspetti, condizioni nuove, perché sono le nostre, le mie, le tue, quelle in cui ci troviamo. Condizioni nelle quali avvertiamo che facciamo fatica ad orientarci e a ritrovare una dimensione davvero “umana” del nostro vivere; dentro un contesto sociale e globale che mostra evidenti i segni di un processo storico disumanizzato, soprattutto nelle relazioni interpersonali, tra le nazioni e i popoli.

Il dono della Pasqua si presenta a noi come una rinnovata offerta di “restituzione di umanità”, che non proviene da una “riserva di umanità” recuperata da chissà quale angolo nascosto del cuore umano. Abbiamo ormai avuto fin troppe conferme di quanto queste “risorse di umanità” si siano fatte sempre più esigue.

Questa restituzione di umanità ci proviene da un unico e sorprendente luogo, che è il cuore trafitto di Gesù (cfr. Gv 19,34). Ci giunge, in modo gratuito e altrettanto travolgente, dalla potenza di un amore che è più forte di tutto e di tutti.

Solo la Pasqua di Gesù è in grado di restituire in sovrabbondante misura ciò che questa umanità sembra aver perso per strada, se non addirittura sciupato; a volte per superficialità, a volte per meschinità, a volte per subdoli interessi.

Con la sua Pasqua il Risorto ci restituisce umanità, rimettendo in circolo una testimonianza in assoluta controtendenza: che l’umanità è vera ed è sé stessa solo quando non tradisce la sua vocazione ad essere “immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1,27), cioè Amore!

Con la sua Pasqua il Risorto ci restituisce umanità, rendendoci partecipi del suo Spirito di vita, capace di liberare in noi energie umane insospettate, di compassione, di solidarietà, di  cura reciproca.

E’ questo il mio augurio più fraterno, unito a quello degli altri sacerdoti della Comunità: che sia davvero per tutti una Pasqua di ritrovata umanità, nella quale far trasparire i tratti dell’umanità nuova del Risorto. Buona Pasqua a tutti!                                                                                                                                                                                                                                                              Don Luciano

 

Domenica delle Palme                                                                                                                                                   Is 52,13-53,2 / Sal 87 / Eb 1b,1b-3 / Gv 11,55-12,11 — Zc 9,9-10 / Sal 47 / Col 1,15-20 / Gv 12,12-16

Carissimi, buona Domenica!

Il nostro itinerario quaresimale ci ha condotto sulla soglia di questa nuova Settimana Santa.

Il tema che ha guidato e accompagnato il nostro cammino — “Chiamati a restituire umanità” — ci ha stimolato a recuperare una delle dimensioni fondamentali della fede, che è quella della cura della nostra umanità e di quella delle persone con cui condividiamo il cammino quotidiano della vita.

Lungo tutta la Quaresima abbiamo voluto anzitutto tenere fisso lo sguardo su Gesù come “maestro”, non di una “dottrina”, di una “morale”, di una “religione”, ma primariamente di “umanità”.

E’ nella bellezza della sua umanità, nei suoi gesti sorprendenti, nelle sue parole uniche, che abbiamo intravisto il dono di una umanità nuova; la possibilità di una salvezza e di una liberazione da tutto ciò che rende disumana la vita, a partire dal nostro egoismo, dal peccato che ci inganna; fino a quella esperienza, che rappresenta il culmine di ogni disumanizzazione, che è la morte.

Nella Settimana Santa siamo invitati a celebrare il compimento di questo Mistero di salvezza, proprio nella Pasqua di Gesù. Nei giorni della sua Passione egli sperimenta nella sua carne tutto il dramma disumanizzante del male, che schiaccia l’uomo, lo annulla, lo distrugge. Di questo mistero di morte i racconti evangelici ci testimoniano a quale grado di disumanizzazione possa giungere la libertà sbagliata dell’uomo. Tradire un amico, condannare un innocente, violare la dignità di una persona, sopprimere una vita: tutto ciò trova nel dramma dell’Uomo della Croce la rappresentazione e l’attualizzazione di ogni atto violento e disumano perpetrato contro l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo.

Ciò che invece salva l’umanità da ogni deriva disumana e disumanizzante sono soltanto e unicamente i gesti umani della compassione. Di essi si fanno interpreti, in modo altrettanto emblematico e commovente, alcuni personaggi presenti nei racconti evangelici: il profumo versato da Maria sui piedi di Gesù nella casa di Betania; l’accoglienza festosa dei semplici e dei poveri riservata a Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme; la disponibilità del Cireneo a condividere il peso della croce di Gesù; la presenza consolante di Maria e del discepolo amato sotto la croce; la pietà di Giuseppe di Arimatea e delle donne che danno una degna sepoltura a quel corpo straziato. Accanto ad essi e su tutti questi gesti “umani”, i gesti e le parole di Gesù acquistano una portata unica e insuperabile, in grado di “restituire umanità” a tutti, anche a chi l’ha persa, svenduta, sottratta agli altri: il dono di quel pane spezzato a chi non ne capiva il senso, la lavanda dei piedi ai discepoli così distanti dai sentimenti del loro maestro, il suo silenzio di fronte a chi lo condanna e lo deride, il suo perdono a chi “non sa quello fa”. Ed infine, quel suo morire come un malfattore, non come l’atto subìto di una volontà disumana, ma come obbedienza all’amore senza misura e come affidamento alle braccia misericordiose del Padre.

La contemplazione di questo Mistero sublime di amore, umano e divino, rinnovi in noi la forza e la gioia della fede pasquale.

                                                                                                                                                       Don Luciano

V Domenica di Quaresima: “di Lazzaro”                                                                                                                       Dt 6,4a.20-25 / Sal 104 / Ef 5,15-20 / Gv 11,1-53

                                              La fede che libera energie di vita nuova

Carissimi, buona domenica!

“Restituire umanità”. E’ l’esercizio più difficile che questa Quaresima ci affida!

“Restituire umanità” alla nostra umanità personale, alle nostre relazioni, dentro le pieghe di una quotidianità che facilmente ci sottrae umanità; dentro un contesto sociale, globale, non di rado povero di umanità, fino ad essere disumano. La guerra ne è l’espressione massima!

Il racconto del miracolo della risurrezione di Lazzaro, a ridosso ormai della Pasqua di Gesù, ci coinvolge sempre molto perché in esso ritroviamo il dramma delle nostre esperienze di dolore e di morte, con la loro forza travolgente e “disumanizzante”.

Per alcuni aspetti la morte è una delle esperienze più umane che ci possa capitare. Nascere e morire rappresentano i due poli fondamentali dentro i quali si gioca tutta la nostra esistenza. Proprio per questo ne avvertiamo tutta la paradossalità. Da una parte la vita come il dono più prezioso; dall’altro la morte come una sorta di smentita. 

Se “restituire umanità” alla nostra vita, ai nostri gesti, alle nostre parole, ci appare come una sfida difficile, dura; “restituire umanità” alla morte si rivela come la sfida più estrema. Un’impresa invincibile, “sovrumana” e, proprio per questo, “disumana”!

Davvero la vita umana è destinata a scomparire dentro l’atto finale, “disumano”, della morte? Tanto più se segnato dalla violenza o dalla tragedia improvvisa? E’ questa la domanda che si cela dietro il rimprovero delle sorelle di Lazzaro rivolto a Gesù: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Ma questa è anche la domanda drammatica che tutti noi ci portiamo dentro; che facilmente cerchiamo di rimuovere, talmente ci spaventa; e che ci lascia sgomenti quando essa si impone, ogni qual volta la morte bussa alla nostra porta, varca la soglia della nostra casa, senza chiedere il permesso.

Ma è proprio nel coraggio di non sfuggire a questa domanda che possiamo scoprire il cuore e la ragione della nostra fede. Con la sua Pasqua Gesù ha la pretesa di “restituire umanità” persino alla morte, a quell’esperienza disumana che vorrebbe negare la vita. Nel suo affrontare il dramma della morte, non solo come “tragedia” ma come “affidamento” al Padre, Gesù le “restituisce umanità”! La morte viene neutralizzata nella sua pretesa di annientamento, per consegnare la vita dei figli di Dio ad un destino di eternità. Come alla sorella di Lazzaro, Gesù pone anche a noi la domanda seria e decisiva della fede: “Io sono la risurrezione e la vita … credi questo?”.

Don Luciano

 

IV Domenica di Quaresima: “del cieco”                                                                                                                      Es 33,7-11 / Sal 35 / 1Tes 4,1b-12 / Gv 9,1-38b

          Le presunzioni che offuscano lo sguardo

  Carissimi, buona domenica!

L’impegno che ci siamo assunti in questa Quaresima, di “restituire umanità” anzitutto alle nostre relazioni quotidiane, riceve dalla Parola di Dio di questa IV domenica una provocazione molto forte.

La cura nel saper “restituire umanità” parte primariamente dallo sguardo con cui ci accostiamo agli altri. L’episodio del “cieco nato”, narrato da Giovanni al cap. 9 ne rappresenta una “icona” formidabile.

Sulla persona del cieco e sulla sua vicenda umana si incrociano sguardi diversi, con reazioni diverse, in grado di “restituirgli” giudizi contrastanti.

Su di lui c’è anzitutto lo sguardo (un po’ sorprendente!) dei discepoli di Gesù che, “vedendo” questo poveretto, l’unica cosa che sanno esprimere è una osservazione moralistica circa il fatto che se è in quelle condizioni, ci sarà qualche colpa!

C’è poi lo sguardo dei vicini di casa, che talmente abituati a “vederlo” in quella situazione, la danno ormai per scontata; e la sua guarigione un argomento di gossip da mercato.

Ci sono i Farisei e i Giudei, per i quali la guarigione del cieco diventa l’ennesima occasione per aprire un dibattito teologico di come sia ammissibile che Dio operi un miracolo andando contro i canoni delle “regole religiose”.

Infine i genitori del cieco, che per troppo tempo hanno subito l’umiliazione e l’emarginazione a motivo di quel figlio disabile, a tal punto da non avere più risorse per affrontare le conseguenza di un fatto inspiegabile, quanto inatteso.

Ciò che hanno in comune tutti questi “sguardi” è l’incapacità di farsi carico veramente dell’umanità di quest’uomo. Sguardi offuscati da pregiudizi, presunzioni, paure. Sguardi, alla fin fine, disumani! Sguardi persino impediti a riconoscere l’iniziativa di salvezza operata da Dio, che passa attraverso lo “sguardo umano” di Gesù.

Da qui, la conclusione con le parole taglienti di Gesù (non riportate nel brano della liturgia di oggi) che ci interpellano profondamene: “E’ per un giudizio che sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi!”.

Pur nella sua ambiguità, forse vale la pena fare nostra la domanda dei Farisei: “Siamo ciechi anche noi?”. E forse per questo poco umani?                                                 

                                                                                                                                                     Don Luciano 

III Domenica di Quaresima: “di Abramo”                                                                                                                      Es 32,7-13b / Sal 105 / 1Tes 2,20-3,8 / Gv 8,31-59

                                                           Le schiavitù che condizionano la libertà

 Carissimi, buona domenica!

L’invito di questa Quaresima a “restituire umanità”, anzitutto alla nostra vita, ai nostri gesti, alle nostre parole, rappresenta indubbiamente una sfida non facile da affrontare. Sono, infatti, tanti gli alibi, le resistenze che troviamo dentro di noi, che rendono la nostra “umanità” non libera, poco disponibile a concedersi ad uno stile di vita davvero “umano”.

Ad evidenziarlo è l’episodio del Vangelo di oggi narrato da Giovanni in cui, di fronte all’affermazione di Gesù: “Se rimanete fedeli alla mia Parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, i Giudei oppongono una netta obiezione: “Noi non siamo mai stati schiavi di nessuno!”.

In realtà è proprio l’incontro ed il confronto con la verità di Gesù, con la bellezza e la libertà della sua umanità (come quella che abbiamo contemplato nel suo incontro con la donna samaritana), che ci fa scoprire quanto la nostra vita sia “schiava” di tanti condizionamenti che ci frenano, ci bloccano, ci impediscono di essere davvero “umani”.

Come spiegare la carenza di “umanità” in tante relazioni quotidiane, in tanti contesti sociali, lavorativi; e persino nelle famiglie e nelle comunità cristiane; senza dimenticare quelli più ampi delle relazioni tra le nazioni e i popoli? Alla luce del Vangelo di oggi scopriamo che alla radice di questa “povertà di umanità” — che spesso sfocia in drammi disumani (come le guerre) e in tragedie senza fine (come quelle dei migranti) — ci sta la mancanza di verità, di trasparenza. La dove non c’è verità non c’è umanità! La dove non c’è autenticità vuol dire che si stanno difendendo interessi più o meno mascherati, che mettono in secondo piano la vita e i diritti delle persone, il bene comune, la giustizia.

Ai suoi discepoli (a noi) Gesù chiede il coraggio della verità, della sincerità, che viene dal confronto non semplicemente con le opinioni, le idee, ma anzitutto con il suo Vangelo. Solo in questo coraggio della verità del Vangelo è possibile salvaguardare, proteggere la “dimensione umana” della storia da ogni strumentalizzazione interessata o ideologica. E questo a partire dal mondo, non sempre “libero”, dell’informazione e dei media!

Il nostro cammino quaresimale di “umanizzazione” riceve così oggi un impulso ed una indicazione precisa: saremo “più umani” nella misura in cui lasceremo che la Parola del Vangelo ci apra alla verità su noi stessi e sugli altri, liberandoci da quei condizionamenti che impediscono che la “dimensione umana” resti il bene più prezioso da custodire.

Don Luciano


II Domenica di Quaresima: “della samaritana”                                                                                                             Dt 5,1-2.6-21 / Sal 18 / Ef 4,1-7 / Gv 4,5-42

                                                                     Gli incontri che restituiscono umanità

Carissimi, buona domenica!

Ci siamo inoltrati nel cammino della Quaresima mossi da una sollecitazione, che ha trovato nell’esperienza degli Esercizi Spirituali comunitari l’opportunità di ricevere indicazioni preziose per compiere passi concreti di conversione: “chiamati a restituire umanità”!

Un invito del nostro Arcivescovo che vogliamo fare nostro, a partire dalla triste constatazione di quanto la nostra società odierna, nei suoi molteplici ambiti, si sia impoverita tanto di umanità, di attenzione alle persone, alle loro storie, ai loro bisogni più profondi di rispetto, di stima, di accoglienza, di misericordia.

Fare di questo invito il nostro proposito serio per caratterizzare questo Tempo di Quaresima significa metterci in gioco proprio a partire da quello che siamo, dalla nostra umanità più quotidiana, con le sue potenzialità e le sue povertà. Significa restituire umanità anzitutto a noi stessi, alle parole che diciamo, ai gesti che compiamo, alle scelte che facciamo, alle relazioni che viviamo. Significa restituire umanità a chi oggi se ne sente derubato, a chi si è visto privare della sua dignità, a chi fa i conti con situazioni disumane, in cui la vita è ridotta a sopravvivenza, a forza lavoro, a merce di scambio. 

In questa seconda domenica di Quaresima l’evangelista Giovanni ci presenta l’icona bellissima di un incontro che restituisce umanità. Nel suo incontro al pozzo con la donna samaritana, Gesù si rivela come il grande e insuperabile “maestro di umanità”.

Troviamo qui gesti e parole che hanno semplicemente il “sapore dell’umano”. L’atteggiamento è quello di chi non giudica, non squalifica, non disprezza, perché conosce il peso, il dolore, che il cuore di questa donna si porta dentro. Sa quanto la sua libertà sbagliata abbia reso disumana la sua storia, riducendo il suo corpo a un oggetto, il sentimento dell’amore ad un inganno.

Nel suo fermarsi a dialogare con lei, Gesù non teme di essere frainteso, né dalla donna, né dai suoi discepoli, perché è ben consapevole della libertà e della trasparenza della sua umanità.

Ed è per questo che, alla terra riarsa di una umanità ferità, di una dignità derubata, “il dono” dell’incontro con la bellezza dell’umanità di Gesù, ha l’effetto di una cascata d’acqua fresca, che scuote tutto il suo essere, risvegliando in lei la nostalgia di una figliolanza che sembrava perduta.

La brocca abbandonata diventa così il simbolo di un “prima” e di un “dopo”. Gli incontri che “restituiscono umanità”, rappresentano sempre uno spartiacque, che spalancano orizzonti nuovi di vita. Appunto: più umani!

Perché non esserne anche noi protagonisti?                                 

                                                                                                                                                                           Don Luciano


I Domenica di Quaresima: “delle tentazioni”                                                                                                             Is 57,5-15-58,4a / Sal 50 / 2Cor 4,16b-5,9 / Mt 4,1-11

Carissimi, buona domenica!

Con il Tempo della Quaresima la pedagogia della Chiesa ci invita a intraprendere un nuovo cammino di fede e di conversione, che diventa tempo di grazia e di rinnovamento, umano e spirituale.

Come già in Avvento, vogliamo compiere questo cammino “insieme”, lasciandoci ispirare da alcune parole del nostro Arcivescovo, contenute della sua Lettera Pastorale, Viviamo di una vita ricevuta.

Proprio perché ci siamo scoperti amati da Dio, sentiamo di avere un debito di amore gli uni verso gli altri. Ci sentiamo chiamati a restituire umanità a tutte le persone che si vedono private delle condizioni più elementari di vita. Restituire umanità piena è fecondo anche per la comunità, non solo per gli ultimi, ma anche per i primi: perché crea legami sociali, scioglie nodi e conflitti latenti, restituisce responsabilità verso la propria comunità, offre dignità piena ai singoli e alle comunità stesse. La riconoscenza, che è alla base della vita intesa come vocazione, è anche la sorgente della nostra carità”.

In continuità con il cammino compiuto in Avvento,  con il quale abbiamo cercato di fare nostro l’invito a prendere coscienza che “viviamo di una vita ricevuta”, in questa Quaresima vogliamo compiere dei passi coraggiosi di risposta alla chiamata di Dio a “restituire” la ricchezza dei tanti doni di vita ricevuti, facendone un dono di amore, attraverso parole e gesti ricchi di umanità, che fanno crescere in umanità, noi e tutte le persone che il Signore ci pone accanto.

Ancora una volta sarà la Parola di Dio, che scandisce il ritmo delle domeniche di Quaresima, a indicarci la strada, suggerirci i passi giusti. Lo sguardo con cui contempleremo Gesù nei diversi quadri evangelici, tipici della Liturgia Ambrosiana, sarà quello del “maestro in umanità”, che in ogni suo gesto, in ogni suo incontro, comunica umanità, restituisce umanità, dignità, senso alla vita delle persone.

Gesù, “maestro in umanità”, già fin da questa I domenica, detta “delle tentazioni”!

Dopo che con il Battesimo al Giordano, lo Spirito lo aveva manifestato come “il Figlio” amato del Padre, nella sua quaresima nel deserto Gesù lotta e vince contro ogni tentazione a “snaturare” la sua umanità, farla diventare uno strumento in cui esercitare dei “super poteri”, che lo sganciano dalla sua relazione di “figlio” e di “fratello in umanità”, al servizio dell’umanità. Nel deserto Gesù fa la sua scelta di “restare uomo”, fino in fondo uomo, solidale in tutto e per tutto con i fratelli e le sorelle che il Padre gli ha affidato. E’ proprio nel dono totale della sua umanità che Gesù salva la nostra umanità, da ogni forma di male e di peccato che disumanizza l’uomo.

Ed ecco, allora, il primo passo di questo nostro itinerario di Quaresima: smascherare e lottare contro ogni ingannevole tentazione di onnipotenza, di manipolazione delle situazioni e delle persone, che mettono al centro la nostra realizzazione personale; e che hanno come unico esisto quello di disumanizzarci e di disumanizzare le nostre relazioni.

                                                                                                  Buon cammino quaresimale a tutti!

                                                                                                                     Don Luciano

  

Ultima Domenica dopo l’Epifania, detta “del perdono”  —  Anno Liturgico B                                       Is 54,5-10 / Sal 129 / Rom 14,9-13 / Lc 18,9-14

Carissimi, buona domenica!

A ridosso ormai della Quaresima, la Liturgia di queste ultime due domeniche del Tempo dopo l’Epifania ne anticipa in qualche modo alcuni temi tipici: domenica scorsa, detta “della divina clemenza”; e questa domenica, detta “del perdono”.

Tra i diversi richiami che legano la Parola di Dio di queste domeniche ne ritroviamo uno particolarmente provocante, perché va a toccare il vissuto quotidiano delle nostre relazioni con i fratelli e con Dio. Si tratta del tema del “giudizio”, che trova nella parabola del pubblicano e del fariseo al tempio, la sua rappresentazione più plastica.

Il giudizio fa parte di una delle dimensioni più quotidiane. Ogni giorno, infatti, siamo chiamati ad esprimere giudizi di opportunità, di merito, di valore; ed è in base a questi giudizi che compiamo scelte, prendiamo decisioni, magari anche molto importanti.

Sappiamo che non è sempre facile compiere questo “esercizio di discernimento”, a tal punto che ci sono situazioni o circostanze in cui ci blocchiamo, non sappiamo come muoverci, per paura di sbagliare. Per questo motivo, come nella parabola della “donna peccatrice” che fa improvvisamente irruzione nella casa di Simone il fariseo, Gesù ci mette in guardia da giudizi superficiali, moralistici, perentori, senza appello. 

La parabola del pubblicano e del fariseo di oggi ci aiuta a fare un passo ulteriore, per scoprire che c’è un luogo decisivo in cui è possibile maturare un giudizio autentico, libero, che è la preghiera. Ad una condizione però: che sia davvero una esperienza di incontro-confronto con Dio, con la sua Parola. Nell’atteggiamento del fariseo cogliamo con evidenza che in realtà egli vive solo l’illusione della preghiera. Anche se sale al tempio, paradossalmente, non sta cercando nessun vero incontro, se non con l’immagine gonfiata e presuntuosa di sé; che ha, come unico esito, quello del giudizio sugli altri.

Nell’atteggiamento del pubblicano troviamo invece la condizione più vera per un giudizio autentico, anzitutto su di sé, che è quello di mettersi con sincerità alla presenza del Signore, lasciandosi accogliere e giudicare dal suo sguardo misericordioso, nella certezza di essere stato “raccolto con immenso amore” (cfr. I lettura).

E’ con questo medesimo atteggiamento che vogliamo predisporci a vivere il Tempo della Quaresima che si avvicina. Con il desiderio di lasciarci giudicare dall’amore crocifisso di Gesù, per essere capaci di un giudizio di misericordia, su di noi e sui nostri fratelli.                                                          

                                                                                                                                                  Don Luciano

 

Penultima Dom. dopo l’Epifania, “della divina clemenza” —                                                    GIORNATA PER LA VITA

Os 6,1-6 / Sal 50 / Gal 2,19-3,7 / Lc 7,36-50

 Carissimi, buona domenica!

La liturgia della Parola di questa domenica, chiamata anche “della divina clemenza”, ci aiuta a cogliere, in modo più profondo, il senso della “Giornata della Vita”, che la Chiesa Italiana oggi celebra. Un appuntamento più che mai attuale, che ci sollecita a considerare e a riflettere su tutte quelle realtà, vicine e lontane da noi, in cui la vita è particolarmente vulnerabile, minacciata, a motivo della guerra, delle ingiustizie sociali, di visioni culturali ed ideologiche distorte, della violenza di genere, ecc.

La provocazione che la Parola di Dio di oggi ci lancia va in più direzioni, che possiamo raccogliere sotto due interrogativi.

Il primo. Che cosa mette a rischio la vita umana, la mortifica fino a sopprimerla, se non fisicamente, anche solo moralmente e psicologicamente?

La pagina evangelica narrata da Luca, del racconto della donna peccatrice nella casa di  Simone il fariseo, è molto chiara. Spesso la via umana è umiliata, violata, a partire dal pregiudizio; che facilmente si trasforma in un giudizio di condanna, di esclusione; fino ad spingersi ad azioni prepotenti e violente. Di questa donna — che pur di incontrare Gesù sfida le circostanze più avverse — della sua storia, del suo dramma umano, a Simone — che pure ha invitato il Maestro in casa sua — non interessa nulla! L’unico atteggiamento che riesce mettere in atto è quello di un pregiudizio moralistico sul “genere di donna” e sul suo modo spregiudicato di varcare la soglia di sua casa. Il suo orgoglio ferito e la sua ipocrisia gli impediscono di immaginare e comprendere cosa ci possa stare dietro a quella scelta coraggiosa, ed il senso quei gesti di affetto nei confronti del Maestro.

Il secondo interrogativo. Che cosa favorisce, promuove, la vita umana?

A mostralo è proprio “lo stile” di Gesù, il suo atteggiamento pacato, attento, che si esprime inizialmente con l’accoglienza silenziosa, di chi si lascia fare, sorprendere, quasi a voler prendere il tempo necessario per leggere nel cuore di questa donna la sua storia. Il suo farsi largo con discrezione, collocandosi ai piedi di Gesù senza dire una parola, lasciando spazio al linguaggio delle lacrime e a quello simbolico del profumo versato sui suoi piedi, progressivamente svelano al cuore di Gesù tutta la preziosità di quella della esistenza, che porta evidenti i segni del dolore e del dramma di amori illusori, traditi, umilianti, ma che tuttavia non hanno spento in lei il desiderio e la capacità di un amore puro e generoso.

Lo sguardo libero e attento di Gesù ci insegni a vivere ogni incontro, e a guardare alla vita tutti, con la medesima disponibilità di mente e di cuore, credendo che la dignità di ogni persona precede ogni situazione morale, precede ogni condizione sociale, precede ogni giudizio. Ogni vita umana, infatti, nonostante tutto, custodisce il Mistero del Dio della vita! Non è a nostra disposizione. Resta sempre un dono!

                                                                                                                                             Don Luciano 


IV Domenica dopo l’Epifania — FESTA DELLA FAMIGLIA

Is 45,14-17 / Sal 83 / Eb 2,11-17 / Lc 2,41-52

 Carissimi, buona domenica!

La liturgia ambrosiana tradizionalmente celebra, nell’ultima Domenica di gennaio, la festa della Santa Famiglia di Nazareth; e quindi di tutte le nostre famiglie. Una festa che si colloca nell’itinerario spirituale di questo “Tempo dopo l’Epifania”, che ci invita a contemplare il Mistero del Figlio di Dio, manifestato a noi nel Natale, come dono di vita e di salvezza.

Uno dei luoghi fondamentali in cui questo Mistero si è rivelato è proprio la famiglia in cui Gesù è nato, cresciuto; è stato educato nella sua umanità e nella fede. Ed è proprio nella contemplazione di questo Mistero di “incarnazione” che possiamo cogliere tutta la bellezza della “vocazione” della famiglia umana.

L’icona della famiglia di Nazareth non è il prototipo della famiglia perfetta! La possiamo definire “santa” non perché non abbia dovuto fare i conti con i propri limiti, le proprie fatiche e fragilità. L’episodio della “perdita” di Gesù a Gerusalemme da parte dei suoi genitori lo testimonia con evidenza! Nella Famiglia di Nazareth ci è offerta invece la testimonianza unica e affascinante dei tratti fondamentali e del senso più vero dell’esperienza familiare, vissuti alla luce del progetto originario di Dio affidato all’amore umano. 

Essa si mostra a noi, anzitutto, come il luogo della cura degli affetti e delle relazioni, che   passa attraverso l’attenzione al cammino di crescita di ciascuno, della propria libertà, della propria umanità, della propria vocazione. Tutto ciò esige pazienza, uno sguardo  non distratto, che non dà mai per scontato il fatto di conoscere o aver capito tutto dell’altro, del coniuge, dei figli; e neppure dei nonni, di quello che stanno vivendo, provando, in questo momento della vita. La perdita di Gesù nasce dall’aver sottovalutato il rischio di questa presunzione. Per questo motivo è stato necessario per Maria e Giuseppe “tornare indietro”, sui propri passi, per poter “ri-trovare” Gesù là dove lui si trova (nel tempio), e non dove essi immaginavano che fosse (nella carovana).

Ancora, la famiglia di Nazareth ci mostra come la famiglia resta il luogo decisivo in cui si impara, giorno dopo giorno, a conoscersi e riconoscere la propria vocazione, attraverso la libertà di essere quello che si è, il rispetto dell’identità di ciascuno, la fiducia reciproca, la coltivazione del primato della volontà di Dio.

Ringraziamo il Signore per il dono delle nostre famiglie! A Lui affidiamo il loro cammino; in particolare quello delle famiglie più segnate dalle fatiche e dalle prove della vita.

                                                                                                                                             Don Luciano


III Domenica dopo l’Epifania — DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO

Num 11,4-7.16.18-20.31-32 / Sal 104 / 1 Cor 10,1-11b / Mt 14,13b-21

Carissimi, buona domenica!

La pagina di Vangelo di questa III domenica dopo l’Epifania ci presenta un altro quadro di “manifestazione” del dono di vita che il Natale ci ha consegnato in Gesù.

L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci ha, per alcuni aspetti, molti punti di contatto con quello di domenica scorsa, del segno compiuto da Gesù alle nozze di Cana.

A partire, anzitutto, dal contesto, che possiamo definire di “carenza”. La mancanza del vino a Cana, e qui, nel deserto di cibo, rappresenta una simbolica allusione a tutte quelle situazioni in cui la vita, con i suoi bisogni vitali, esistenziali, sembra minacciata e messa in pericolo da eventi paradossali, a volte frutto di superficialità o irresponsabilità; a volte semplicemente di circostanze avverse, imprevedibili, più grandi di noi.

E’ interessante notare il confronto tra la reazione di Maria, che per prima si accorge della drammaticità del momento; e quella dei discepoli, anch’essi preoccupati della serietà della situazione. Quella dei discepoli è la reazione di gente presa dal panico, che addirittura cerca di dare consigli di “buon senso” a Gesù, quasi a evidenziare con discrezione la sua imprudenza nel trattenere la folla in una zona deserta. Dall’altra la reazione di Maria, che conosce bene la portata del dono di vita del suo Figlio Gesù, e che per questo lo chiama in causa, con un invito pacato ma nello stesso tempo efficace e decisivo.

In entrambe le situazioni si manifesta tutta la forza e la novità del cuore “compassionevole” di Gesù, che non rimane indifferente al fatto che la ricerca di speranza di tanti fratelli e sorelle possa trasformarsi in un momento drammatico di frustrazione e di angoscia. La decisione di amore del Figlio di Dio di essere per l’umanità un dono di salvezza, più forte di tutto e di tutti, fa della sua presenza, nelle situazioni anche più paradossali, una fonte di pienezza di vita. Non può e non deve sfuggirci, tuttavia, il fatto che a Cana, come qui nel deserto, Gesù sceglie di compiere gesti di salvezza non senza chiamare in gioco “il poco” che i servi, o in questo caso i discepoli, possono recuperare: l’acqua, un po’ di pane e pochi pesci. E’ con “il poco” messo nelle mani di Gesù che si manifesta “il tutto” della potenza di Dio. Scommettere su questa novità del Vangelo significa credere che nulla è mai del tutto perso quando permettiamo che nella nostra povertà possa trovare spazio l’iniziativa dirompente dell’azione di Dio.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             Don Luciano

 

II Domenica dopo l’Epifania: Is 25,6-10 / Sal 71 / Col 2,1-10 / Gv 2,1-11

 Carissimi, buona domenica!

Il Tempo dopo l’Epifania che stiamo vivendo ci consegna dei quadri evangelici di “manifestazione” del “dono di vita” ricevuto nel Natale di Gesù.

Come annota l’evangelista, il miracolo alle nozze di Cana “… fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11).

Il difficile momento storico che stiamo attraversando ci stimola a prendere sul serio le due affermazioni di Maria, che caratterizzano questo episodio. Nella loro essenzialità hanno la forza di interpretare il nostro animo e, nello stesso tempo, di chiamare in causa la nostra libertà.

La prima è: “Non hanno vino!”. E’ la constatazione, stupita e turbata, di chi ha lo sguardo attento a ciò che succede; e si rende conto che qualcosa di serio rischia di rovinare uno dei momenti più belli della vita di una famiglia e di una intera comunità. E’ la segnalazione di una “carenza”, frutto di superficialità, inadempienze, irresponsabilità.

A partire dagli anni della pandemia, per arrivare ai nostri giorni, segnati drammaticamente dalla tragedia delle guerre e non solo, anche noi ci troviamo spesso a fare l’angosciosa esperienza di tante forme di “carenze”, di vuoti, di limiti. Le giare dei nostri cuori fanno quotidianamente i conti con livelli sempre più bassi di fiducia e di speranza!

Quello che Maria ci insegna qui è avere anzitutto la pacatezza di non lasciarci travolgere emotivamente dalle paure e dal disfattismo; quanto piuttosto a mettere in campo parole e gesti capaci di attivare risorse positive, latenti, preziose. La prima cosa che Maria fa è chiamare in causa Gesù, scommette su quel “dono di vita” che è la presenza del Figlio di Dio dentro le situazioni umane, anche le più paradossali. Quella segnalazione: “non hanno vino”, è proprio rivolta a Gesù! Il suo è un cercare il contatto, il tramite, tra ciò che è “carente” e ciò che può essere una “risorsa” di salvezza.

Subito dopo risuona il secondo invito, questa volta rivolto ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela!”. Maria ha l’intraprendenza di chiamare in causa risorse umane, disponibili ad essere strumenti di quella iniziativa di salvezza che solo Dio è in grado di compiere, ma non senza il concorso di una corresponsabilità, fatta di gesti semplici e generosi, perché la carenza di ciò che manca non diventi una pregiudiziale definitiva, ma la premessa per qualcosa di nuovo e di sorprendente.

Il Natale di Gesù ci assicura che un futuro di speranza può ancora trovare spazi promettenti, ma non senza il nostro sentirci chiamati in causa, con un accresciuto senso di responsabilità personale e comunitario.

                                                                                                                   Don Luciano


Domenica 31 dicembre 2023 nell’Ottava del Natale del Signore: Pr. 8,22-31 / Sal 2 / Col 1,13-.15-20 / Gv 1,1-14

Lunedì 1 gennaio 2024 / Giornata della pace: Num 6,22-27 / Sal 66 / Fil 2,5-11 /          Lc 2,18-21

Ci sono infiniti modi con cui concludere un anno e festeggiare quello nuovo. Tra i tanti ce n’é uno tipicamente “cristiano”, che è quello di cantare il Te Deum.

Noi ti lodiamo o Dio, ti proclamiamo Signore.

O eterno Padre, tutta la terra di adora.

A te cantano gli angeli e tutte le potenze del cielo:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo.

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. (…)

O Cristo, re della gloria, eterno Figlio del Padre,

tu nascesti dalla Vergine Madre, per la salvezza dell’uomo. (…)

Ogni giorno ti benediciamo, lodiamo il tuo nome per sempre”.

Un Inno antichissimo, che risale ai primi secoli della Chiesa, con cui si ringrazia Dio per i benefici ricevuti nell’anno trascorso, propiziando nuove grazie per l’anno che inizia.

Tuttavia, se non fosse la Tradizione secolare e la Liturgia rigorosa della Chiesa a metterlo sulle nostre labbra, non so quanto ritroveremmo in noi il desiderio spontaneo di cantare questo Inno solenne. Ad essere sinceri, infatti, il momento storico che stiamo attraversando, con le tragedie di guerre in atto e le tante situazioni di sofferenza di tante nostre famiglie, sembrano avere la forza di smorzare l’entusiasmo necessario per cantare con convinzione questo Inno, come espressione grata per il “dono di una vita ricevuta”!

Se non vogliamo ridurre il canto del Te Deum ad un rito formale, poco corrispondente ad uno stato d’animo sincero, è necessario un passaggio di profondità, illuminato dalla luce del Natale; un momento di sosta interiore, abitato da una domanda: perché dunque cantarlo?

Una prima motivazione sta proprio nella forza del Natale. Il Natale è la manifestazione della forza dell’amore di Dio, più forte di tutto e di tutti, che niente e nessuno può fermare. La forza del Natale è la nostra forza, che ci consente persino di cantare! Sì di cantare, non la semplice allegria di momenti spensierati, ma la gioia vera, duratura, che nasce dal fatto che “il Signore fa brillare su di noi il suo volto e ci benedice donandoci pace” (cfr. Num 6,22-27).

La seconda ragione per cui anche quest’anno è possibile cantare il Te Deum è la consapevolezza che se è vero che il male sembra dilagare, a volte straripare come un torrente in piena, il bene assomiglia invece a quei fiumi carsici che scorrono nel sottosuolo; a quei rivoli sotterranei che alimentano falde di acqua fresca e pura. Il bene è solo più discreto, fa meno rumore, ma merita di essere cantato, celebrato, a partire da Colui che lo genera e lo alimenta.    

Una terzo motivo per cui cantare il Te Deum sta proprio in quel suo “noi” iniziale: “noi ti lodiamo, Dio…”. La convinzione e la forza di cantare il Te Deum ci possono venire solo da questo senso profondo di appartenenza alla grande famiglia dei figli di Dio, in grado di moltiplicare la speranza, la certezza che “insieme” e “con Lui”, possiamo guardare con fiducia al nuovo anno, nonostante tutto.

E per questo augurarci: Buon Anno!

                                                                                                                   Don Luciano

 

NATALE 2023

In questi giorni, prossimi al Natale, il mio pensiero  torna spesso al Natale che ho vissuto lo scorso anno proprio a Betlemme.

A distanza di un anno, sento più che mai vivo l’eco interiore delle emozioni, delle sensazioni, delle immagini di quella Notte Santa, nella Basilica della Natività. Penso con tristezza al Natale di quest’anno in quella Terra Benedetta, dove Dio si è fatto uomo; e nella quale il canto degli angeli: “gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati al Signore”, sembra essersi affievolito, per cedere il passo al grido di dolore di tanti fratelli e sorelle travolti dal dramma della violenza e della guerra.

Mi appresto ora a vivere il Natale di quest’anno in un contesto completamente diverso, nel quale mai avrei immaginato di trovarmi, ma che, ne sono consapevole, solo un disegno più grande, ha voluto per me. Passare dalla contemplazione degli orizzonti sconfinati ed emozionanti della Terra Santa a quelli altrettanto meravigliosi e suggestivi delle rive del Ticino, con lo sfondo la catena del Rosa, ha significato per me un passaggio spirituale e psicologico non immediato. Ad accompagnarmi è la forza e la pace di una obbedienza a dare compimento in me a quell’Amore che, nell’anno trascorso a Gerusalemme, ha nuovamente e più fortemente conquistato il mio cuore.

E’ in questa prospettiva che ho fatto mio il richiamo dell’Arcivescovo Mario: “Viviamo di una vita ricevuta!”, riproposto a tutta la nostra Comunità Pastorale come tema guida del cammino di Avvento.

Il Natale è davvero la celebrazione di una vita ricevuta!

Quella anzitutto di Gesù, e che Lui è venuto a condividerci: dell’essere con Lui e come Lui, figli del Padre. In questo Natale prendo ancora più coscienza di vivere di una vita ricevuta, che quotidianamente mi raggiunge, ci raggiunge, in tanti modi, gratuiti e inattesi.

Come uomo, come parroco di questa Comunità, ogni giorno ricevo stimoli di vita dall’incontro con volti amici, sguardi attenti, gesti premurosi.

Ogni giorno ricevo un respiro nuovo di vita dalla tante testimonianza di storie semplici e commoventi, di dono, di dedizione, di sacrificio. Ogni giorno ricevo motivazioni di vita alla mia scelta di essere un “servo inutile” del Vangelo, che mi spingono a vincere paure e resistenze interiori.

E’ con questa consapevolezza nel cuore che mi appresto a “ricevere vita” da questo nuovo e inatteso Natale, con commossa e intensa gratitudine.

Ed è con questa medesima consapevolezza che vorrei esprimervi i miei fraterni auguri per questo Natale. Un Natale capace, ancora e sempre, di portare vita dentro le nostre vite.

Un Natale che vi faccia sentire raggiunti da tutta quella forza di vita, dirompente, amorosa, che Dio, nonostante tutto, continua a riversare dal cielo; e che ci raggiunge attraverso il dono e l’affetto delle persone che ci sono care.

Un Natale di vita, che non smetto di credere e di sperare anche per i figli e le figlie di Terra Santa, dove il cuore del Figlio di Dio ha cominciato a battere di amore fino a morire per amore.

A tutti buon Natale di cuore, con l’augurio per un nuovo anno di speranza e di pace, anche a nome degli altri sacerdoti della comunità.                                                                 

                                                                                                                                                                                                                                                         Don Luciano

 

VI DOMENICA DI AVVENTO: “Lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”  -  Il dono della vita

Letture: Is 62,10-63,3b / Sal 71 / Fil 4,4-9 / Lc 1,26-38b

Carissimi,

la VI Domenica di Avvento ci introduce alla Novena di preparazione al S. Natale.

Ad accompagnarci in questo ultimo tratto di strada verso Betlemme è proprio la figura di colei che più di tutti ha fatto esperienza del dono di una vita ricevuta, che ha dato senso e pienezza alla sua vita: la vita in lei del Figlio di Dio.

Anche per noi, celebrare il Natale significa accogliere il dono della vita di Gesù dentro la nostra vita, dentro la nostra storia personale e universale. Un dono che ci sorprende, perché sono tante le ragioni che ci spingono a chiederci, insieme con Maria: “come è possibile?”.

Come è possibile, in che modo può Dio ancora oggi trovare uno spazio, un varco, per entrare dentro questo nostro mondo complicato, smarrito, sofferente, che sembra essersi ancora più allontanato da Lui e chiuso al suo Mistero di amore? 

A mostrarci questo “come” è proprio Maria, perché proprio a lei è stato rivelato il “come” di Dio, nel suo paradossale ma reale compiersi.

Il “come” di Dio passa attraverso umanità di donne e di uomini semplici, liberi, come Maria, che sanno andare oltre le proprie paure, le proprie inadeguatezze, perché si fidano del fatto che Dio passa fare di loro un presidio della sua presenza: “Non temere, hai trovato grazia presso Dio!”.

Il “come” di Dio passa attraverso un agire, un operare che si serve di quello umano, ma la cui energia e la cui forza non è del tutto umana, ma viene dallo Spirito di Dio: “Lo Spirito Santo scenderà su di te!”. Se sono molti coloro che pensano di decidere la storia, in realtà è questa umanità scelta da Dio a farla sul serio!

Il “come” di Dio non è condizionato, tanto meno bloccato, dalle circostanze, più o meno favorevoli. Esso è creativo, imprevedibile. A Maria è chiesto solo di assecondarlo, riconoscerlo, e alla fine dargli il nome: “lo chiamerai Gesù!”.

Come Maria, attendiamo il Natale così: come l’annuncio di un dono di vita che viene dal cielo. Un dono di vita che se troverà un “eccomi” anche da parte nostra ci sorprenderà, regalandoci giorni fecondi di amore e di speranza.

Buona Novena di Natale!                         

                                                                                                                 Don Luciano

 

V DOMENICA DI AVVENTO: “In mezzo a voi sta uno che non conoscete”  -  La salvezza della vita

Letture: Is 11,1-10 / Sal 97 / Ebr 7,14-17.22.25 / Gv 1,19-27a.15c.27b-28

 Carissimi,

la quinta tappa del nostro cammino di Avvento ci invita a contemplare la dimensione per noi decisiva del dono di “una vita ricevuta” : quella di una vita “salvata”.

Tutti noi nella vita, prima o poi, avvertiamo un bisogno disperato di “salvezza”. La sospiriamo, la cerchiamo, la invochiamo!

Di quale risposta a questa attesa si fa portatore il Natale di Gesù?

A darci una preziosa indicazione sono le parole bellissime del profeta Isaia. Si tratta di una salvezza che ha le caratteristiche di un “germoglio”. Cioè di qualcosa di piccolo, di fragile, che tuttavia ha in sé la forza di sfidare il rigore dell’inverno, cioè delle avversità della vita, delle asprezze della storia. Il Mistero del Natale ce lo mostra con particolare evidenza: il Salvatore nasce in un contesto di povertà, di fragilità; ciò nonostante è manifestazione della forza di Dio, del suo Spirito di vita e di amore, fin dal suo concepimento.

L’autore della Lettera agli Ebrei ripropone questa immagine del “germoglio”, affermando che in Gesù si rivela tutta la “potenza di vita incorruttibile” di Dio; ed è per questo che “può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio”. La vita che riceviamo in Gesù è la vita dello Spirito di Dio in noi; una vita da figli, amati dal Padre, da sempre e per sempre. Questo è ciò che ci salva da ogni paura e da ogni angoscia.

La testimonianza del Battista, riportata nella pagina di Vangelo di Giovanni, ci conferma nella certezza che in Gesù noi veniamo salvati da una vita anonima, da una esistenza senza identità. Noi non sappiamo chi siamo veramente, che senso ha la nostra esistenza, se non in forza del fatto che il Figlio di Dio si è fatto uomo come noi, rendendoci participi di una vita significativa come la sua. Di questo dono “ricevuto” sappiamo di non essere degni, ma di esso vogliamo esserne in qualche modo “voce”, cioè eco, segno, in questo mondo disperato, che invoca salvezza ma che spesso rincorre solo illusioni.

Buon cammino di Avvento!               

                                                                                                                   Don Luciano

IV DOMENICA DI AVVENTO: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”  (Mc 11,9)  -                 La speranza della vita

Letture: Is 16,1-5 / Sal 149 / 1 Tes 3,11-4,2 / Mc 11,1-11

 Carissimi,

a guidare la nostra riflessione sulla Parola di Dio in questa IV Domenica di Avvento è questa domanda: se è vero che “viviamo di una vita ricevuta” da Dio in Gesù; come questa vita ci viene incontro, ci raggiunge, ci cambia?

Il brano di Vangelo dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, narrato dall’evangelista Marco, ci offre alcuni spunti di riflessione interessanti.

Nell’imminenza della Pasqua Gesù è consapevole che è giunto il momento di dare compimento al Mistero di amore iniziato con il suo Natale; e che è il motivo fondamentale per cui il Padre lo ha inviato all’umanità: comunicare il dono di una vita nuova, piena; una vita da figli grazie al Figlio.

Come nel giorno del suo Natale, così, alla vigilia della sua Pasqua, ciò che accade diventa l’immagine di cosa significa accogliere il dono di questa vita nuova.

Nel decidere “il modo” con cui fare il suo ingresso nella Città Santa, Gesù mostra con evidenza che  il suo venire come “dono di vita” rappresenta una iniziativa di amore del tutto gratuita. Essa precede ogni iniziativa dei discepoli, precede ogni disponibilità della Città. Soprattutto, precede ogni merito! Come a Betlemme, così a Gerusalemme, Gesù “viene” tra la sua gente, come un dono di vita consegnato, messo a disposizione, offerto a tutti coloro che sono pronti ad accoglierlo.

Si tratta essenzialmente di un dono di vita che ha la forza e l’autorevolezza di “sciogliere”, di “slegare”. Il ritorno frequente di questo verbo, mette al centro il nodo esistenziale che blocca, paralizza la nostra vita: quello di essere prigionieri di tanti condizionamenti che ci impediscono di essere davvero liberi. Prigionieri spesso di noi stessi, dei nostri limiti psicologici, morali, spirituali, sociali. Schiavi, dunque, e non figli!

Il dono di vita di Gesù è un dono che libera la libertà, apre orizzonti nuovi di speranza, accende l’entusiasmo, ci fa gridare: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. E’ questo, solo questo che ci fa desiderare più che mai il Natale!

Buon cammino di Avvento!             

                                                                                                                   Don Luciano

III DOMENICA DI AVVENTO: “Il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me”  -         Le luci della vita

Letture: Is 51,1-6 / Sal 45 / 2Cor 2,14-16a / Gv 5,33-39

 Carissimi,

il nostro cammino di Avvento prosegue con nel cuore un messaggio, che ha lo scopo di dare un significato all’attesa di questo nuovo Natale: “viviamo di una vita ricevuta!”.

Nelle prime due domeniche di Avvento la Parola di Dio ci ha stimolato a dare il nome alle possibili minacce di questa consapevolezza della fede; in particolare le paure che paralizzano il cuore e le illusioni che ingannano la nostra libertà.

In questa III domenica, richiamati da quanto Gesù dice di Giovanni il Battista: “egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegravi alla sua luce”, siamo invitati ad accorgerci di quelle luci che Dio stesso accende sulla nostra strada, perché il nostro camminare sui sentieri, a volte impervi della vita, non sia un camminare al buio, con il rischio di inciampare o di perderci.

Per questo motivo il profeta Isaia sollecita il popolo di Israele a “cercare”, a “guardare”, ad “alzare gli occhi”, perché c’è una iniziativa di salvezza che Dio va operando dentro la storia; e che si manifesta in tanti segni luminosi, che testimoniano che non viene meno la sua Alleanza fedele.

San Paolo, con una immagine diversa, ma con la medesima intenzione, ricorda alla comunità di Corinto che, pur in mezzo ai cattivi “odori di morte” che respiriamo attorno a noi, ci sono anche tante testimonianze di vita che emanano “profumi”  di vita buona, evangelica; che incoraggiano anche noi a spargere “il buon profumo” di Cristo nelle nostre relazioni quotidiane.

Nel contesto di tenebra in cui ci sentiamo immersi, Dio non smette di accendere luci di speranza, di spargere profumi di amore, proprio nella vita bella di tanti suoi discepoli che ancora oggi attendono la Luce del Natale del suo Figlio Gesù.

Se in cielo splendono le stelle è possibile camminare anche nella notte più buia! Tra queste vogliamo esserci anche noi, in attesa di poter scorgere la Luce vera, quella che non tramonta mai!

Buon cammino di Avvento!               

                                                                                                                   Don Luciano

 

II DOM. DI AVVENTO: “Fate dunque un frutto degno della conversione”  Le illusioni della vita

Letture: Is 51,7-12a / Sal 47 / Rom 15,15-21 / Mt 3,1-12

 Carissimi,

ci siamo inoltrati nel cammino di Avvento guidati da un tema particolare, suggeritoci dal nostro Vescovo: Viviamo di una vita ricevuta!

Nella I Domenica ci siamo soffermati a riflettere su quelle esperienze, su quegli eventi che hanno la forza di spegnere in noi lo stupore e la gratitudine per il dono della vita; a partire dalle nostre paure, rese ancora più forti dai tanti eventi dolorosi che la vita ci fa attraversare o che la cronaca ci presenta quotidianamente. Il Natale è la promessa compiuta di Dio di non abbandonare l’umanità ad un destino di disperazione e di morte. In Gesù ci è offerta la speranza di una vita nuova, “ricevuta”: quella di essere figli nel Figlio, sempre e nonostante tutto! La Parola di Dio di questa II Domenica ci accompagna a riflettere su una seconda minaccia che può mortificare in noi la gioia della vita: quella delle “illusioni”. Tutti noi coltiviamo nel cuore sogni, desideri, attese, per il futuro nostro, dei nostri cari, della Chiesa, del mondo. Il rischio serio è che si rivelino delle “illusioni”, delle fantasie, delle velleità, che le contrarietà e le prove della vita fanno miseramente crollare, lasciandoci nella frustrazione e nell’amarezza. L’invito del Battista a “fare frutti di conversione” non può essere ridotto ad una esortazione ad una vita migliore, più buona! Esso ha piuttosto il tono di un appello “gridato” a scuoterci dalle nostre illusioni, dalle nostre mistificazioni; a prendere le distanze da tutto ciò che è inganno, apparenza, futilità, per ricentrare i pensieri, gli affetti, la libertà, gli sforzi, su ciò che è essenziale, autentico. Anche il profeta Isaia per tre volte grida al suo popolo, che con l’esilio ha pagato caro il prezzo delle proprie illusioni: “Svegliati … svegliati … svegliati!”. Avere il coraggio e la lucidità di smascherare le proprie illusioni, la bugia di false promesse, è possibile solo se si incontra qualcosa o qualcuno di più affidabile, di più vero! San Paolo, in modo altrettanto “audace”, non ha dubbi nell’indicare ai suoi fedeli l’unico nome capace di garantire la speranza di una vita piena: è il nome di Gesù, la potenza del suo Vangelo.

Per questo rinnoviamo in noi l’attesa del Natale. Stanchi di parole senza sostanza, di promesse illusorie, andiamo incontro a Colui che è il fondamento e il compimento della nostra esistenza.

Buon cammino di Avvento!                     

Don Luciano

 

I DOMENICA DI AVVENTO - Letture: Is 24,16b-23; Sal 79; 1 Cor 15,22-28;  Mc 13,1-27

Carissimi,

mi sono proposto di raggiungervi con un messaggio ogni domenica, tramite questo foglio della Comunità Pastorale, con il desiderio di consegnarvi una parola fraterna, come un’eco della Parola ascoltata nella S. Messa. Un semplice aiuto per prolungare durante la settimana la vostra riflessione e la vostra preghiera.

In questa prima domenica di Avvento vorrei anzitutto presentarvi quello che sarà il titolo e il tema del nostro cammino comunitario di Avvento 2023: “Viviamo di una vita ricevuta”.

Nell’introduzione alla sua Lettera Pastorale così  scrive il nostro Arcivescovo Mario: “...vivete di una vita ricevuta, siete vivi perché chiamati alla vita dalla promessa della comunione con il Padre tramite la partecipazione alla vita di Gesù. Seguire Gesù, dimorare in Gesù, conformarsi a Gesù è la condizione per vivere. Senza di lui non possiamo fare niente”.

Il Tempo di Avvento e la celebrazione del Natale di Gesù sono una occasione preziosa per prendere più viva consapevolezza di questo dono di vita nella nostra vita; dono del Padre, tramite il sì di Maria.

Ogni domenica di Avvento, avremo modo di sottolineare un aspetto particolare di questo dono, come indicato dal manifesto accanto.

In questa prima domenica, stimolati dal brano di Vangelo di Marco tratto dal “discorso escatologico” di Gesù del cap. 13, vogliamo sostare sul tema delle tante paure che, più o meno consapevolmente, paralizzano il nostro cuore, spengono la speranza, bloccano i nostri slanci di amore. L’esperienza drammatica della pandemia, la tragedia delle guerre in Ucraina e in Terra Santa, fanno risuonare più che mai vere e attuali le parole profetiche di Gesù. Parole che ci spingono a guardare in faccia alle nostre paure, ma custodendo nel cuore le sue parole di speranza: “E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi … Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato… Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.

La Nascita di Gesù di duemila anni fa è avvenuta in un contesto non meno tenebroso e drammatico di quello di oggi. Eppure in quella notte, la venuta al mondo della vita del Figlio di Dio ha fatto brillare una stella di speranza. Ogni paura può essere vinta e superata se permettiamo a questa luce di abitare i nostri giorni, anche quelli più bui e difficili.

Buon cammino di Avvento!

Don Luciano